
Recentemente tornata alla ribalta sugli scaffali grazie alla trasposizione cinematografica di Scott Derrickson, Black Phone – originariamente conosciuta come Ghosts – è una raccolta di racconti edita Sperling & Kupfer e firmata da Joe Hill.
Figlio d’arte, e nientemeno che del Re del Brivido Stephen King, in questo volume Joe Hill dà libero sfogo alla sua creatività, presentando quindici più uno racconti che non si limitano all’horror, ma attraversano i vari generi.
“Aveva letto storie volgari e terribili per la maggior parte della sua vita professionale e in quelle maleodoranti paludi letterarie aveva scoperto fiori di una bellezza indicibile.”
Il titolo della nuova edizione, Black Phone, rispecchia quello del film ed è anche il titolo di uno dei racconti all’interno di questa raccolta. Il titolo della prima edizione italiana era a sua volta tratto da uno dei racconti, ovvero Un fantasma del Ventesimo Secolo.
Ne viene da sé che per poter parlare adeguatamente del presente volume sia bene entrare nel merito di alcuni dei racconti proposti.
La raccolta si apre con Best New Horror, nel quale Eddie Carroll, annoiato editor di una rivista di racconti horror, si ritrova per le mani un racconto veramente originale e capace di fargli venire i brividi. Si mette così alla ricerca dell’autore, che sembra essere un individuo alquanto particolare.
Il sopracitato racconto, Un fantasma del Ventesimo Secolo, trasporta i lettori direttamente negli anni ’40, in un cinema dove si sta proiettando per la prima volta Fantasia, le cui sale sono però infestate da una triste presenza.
Nel surreale Pop Art, il protagonista stringe amicizia con Art, un ragazzo gonfiabile. In Il canto della locusta, il tipo di racconto che ci si aspetterebbe se Kafka e Cronenberg si fossero incontrati per una colazione, Francis Kay al risveglio scopre di essersi trasformato in un insetto gigante. Hill riesce così a fondere il terrore nucleare con l’amore per il cinema body horror.
Black Phone è in qualche modo una storia di vendetta, lenta ma dal ritmo incalzante. Il mantello, invece, è un tributo d’amore ai fumetti supereroistici, che in poche pagine mette in scena la fragilità della morale di fronte al potere. Infine, la maschera di mio padre è talmente surreale che diventa difficile capire dove inizi la finzione e dove finisca il racconto.
Black phone: Non solo horror
L’opera prima di Joe Hill restituisce immediatamente l’immagine di uno scrittore poliedrico e sfaccettato. Basta leggere pochi racconti per rendersi conto della versatilità dell’autore, che passa da un tributo d’amore agli horror, a una delicata storia di fantasmi, a una struggente e surreale novella di formazione.
Si parla di varietà, ma anche di identità: l’antologia è organica, e in ognuno dei racconti si ravvisa la mano dell’autore che fin da subito dimostra un talento e una predisposizione per il fantastico. Come osserva Christopher Golden nella sua prefazione alla raccolta, “non tutte le storie che compongono questa raccolta sono horror”, e se l’horror è un grande amore di Joe Hill, non è di certo l’unico.
Dunque “fantastico” è un termine efficace per sintetizzare l’antologia, e per rispondere alla spesso scomoda domanda: “Di che genere sono questi racconti?”.
“Mi ero dimenticato che la realtà, per lui, era una cosa che riusciva a distinguere solo di tanto in tanto, attraverso i fumi dei suoi sogni a occhi aperti.”
Oltre al fantastico, c’è un altro filo rosso che collega queste storie più o meno brevi.
Le novelle di Joe Hill hanno per protagonisti bambini e adolescenti, spesso problematici, con disturbi emotivi o esistenziali, e con un rapporto terribile con i propri familiari o i propri cari. L’infanzia e l’adolescenza, due dei periodi più instabili e complicati dell’esistenza di una persona, vengono sviscerate attraverso la penna di uno scrittore che non manca di trattare il tema anche con dolcezza e sensibilità.
L’orrore e il fantastico sono spesso un pretesto, e talvolta sono completamente assenti, perché il fulcro principale sono i giovani e il loro rapporto con un mondo che non li capisce o che li spaventa. Giovani che si ritrovano a vivere situazioni assurde o terribile, ma che raramente sfociano in un escalation di violenza, e anzi mantengono un inaspettato candore.
Anche quando Francis Kay si trasforma in un insetto gigante si intuisce, sotto l’orrore, la tristezza per la sua condizione. Orrore e tristezza che tornano prepotenti nelle vicende de I ragazzi Van Helsing, che come Francis e come il protagonista di Pop Art hanno un rapporto complicato con la figura paterna.
Homer di Meglio che a casa e Morris di Ricovero volontario mostrano entrambi sintomi afferenti allo spettro autistico; ma la nota dolceamara che connatura i loro due racconti assume sfumature molto diverse nel secondo caso rispetto al primo.
Bobby Conroy ed Eric non hanno avuto dalla vita ciò che si aspettavano. Ma se il primo ritrova in qualche modo la dolcezza sul set di un capolavoro del cinema zombie, il secondo riesce a prendere una svolta inquietante alla Unbreakable.
Allegorie e tributi d’amore, fiabe nostalgiche e novelle inquietanti, storie ordinarie di vita fuori dall’ordinario. Questo, ma non solo questo, sono i racconti di Joe Hill.
“<<Per un minuto, puoi anche sopportarlo>>, dissi. <<Secondo te, non ne vale la pena? Volare così, come si fa nei sogni.>>”
Tirando le somme, Black Phone è una raccolta modesta. Alcuni racconti spiccano di gran lunga sugli altri, ma nel complesso si tratta di un campionario di ottime idee e di spunti interessanti.
Tra le caratteristiche potenzialmente migliorabili, la suspense in alcune novelle non trova poi un adeguato sfogo nella conclusione e alcuni finali risultano mozzi. In alcuni casi anche solo un paragrafo in più avrebbe fatto la differenza.
È ironico, perché sembra che Joe Hill abbia ereditato dal padre lo stesso problema per la chiusura delle storie. Ma è importante rimarcare una cosa: Joe Hill non è Stephen King.
Questa considerazione potrebbe sembrare banale, ma è una distinzione importante. I detrattori potrebbe sminuire la raccolta, sostenendo che alcune citazioni siano mirate a emulare il padre. O potrebbero calzare l’accento paragonando questa antologia a A volte ritornano, la prima raccolta di racconti di King, sostenendo come quei primi racconti fossero molto più estrosi e interessanti di questi.
Al di là del semplice gusto personale, sono paragoni erronei. Ogni scrittore ha la propria dimensione, a prescindere dai collegamenti con altri virtuosi della penna – o della tastiera. Valutare Black Phone alla luce della parentela tra King e Hill è erroneo e infruttuoso, oltre che svilente per l’autore in sé.
Perché se l’elogio di Cristopher Golden può suonare decisamente spassionato, ma un po’ sopra le righe, su una cosa decisamente non ha torto: con i nuovi autori si parla spesso di promesse e potenzialità, Ma Black Phone è senza dubbio una promessa mantenuta.