Cabaret Maldoror – Recensione

Milano, la Darsena. Un locale nel quale si ritrovano uomini dall’anima persa, nostalgica, solitaria. Cabaret Maldoror è quel luogo della mente – e di tutto ciò che probabilmente l’uomo non potrà mai cogliere a fondo – che fa da palcoscenico per i nuovi racconti di Ian Delacroix, pubblicati dalla neonata Dark Abyss Edizioni. L’autore ci vizia ancora una volta con un’opera weird dalle sfumature gotiche, immersa in una dimensione sfuggente e onirica.

In questa nuova fatica letteraria Ian Delacroix dipinge un microcosmo di scene e tragedie personali che prendono vita in un luogo indefinito, nebuloso quanto i raduni dei fumatori d’oppio di Parigi. E quelle atmosfere abbracciano i protagonisti sconosciuti e le leggende che si muovono sullo sfondo del Carnevale Giallo. Ma cosa striscia davvero dietro queste storie?

La vera trama è l’atmosfera

Cabaret Maldoror non è un libro con una trama definita, lineare. I racconti che compongono la raccolta sono frammenti distorti di un dipinto cupo, decadente, destinato alla morte – o peggio – già dalla prima pennellata. Sappiamo poco dei suoi protagonisti, impariamo a conoscerli solo attraverso alle loro interazioni con altri personaggi e alle loro reazioni di fronte a eventi inspiegabili. Ci sono strane forze occulte che permeano queste pagine, alcune delle quali si riconoscono attraverso dicerie, deliri e lontane testimonianze. Il Culto delle Strane Bambole muove i suoi fili lungo i vicoli e i muri sbiadiscono per l’inizio del Carnevale Giallo.

Dissonanze, discrepanze, discromie. Laddove il difforme scosta la patina del reale, l’arte lascia trapelare il vero. Occhieggia e turba, danzando lungo la faglia inquieta che separa il sogno e l’incubo.

Dal Cabaret Maldoror, ritrovo di creativi in cerca di spazio e speranze destinate a sfumare, come tentacoli e fili di marionette si dipanano storie sotterranee, crepuscolari, di bordi slabbrati e confini spostati, tra Parigi e Milano, tra la casa Lilla e il Culto delle Strane Bambole. Ed è solo l’inizio. O la fine?

Siate pronti al Carnevale Giallo.

Da subito incontriamo luoghi che nascondono al loro interno storie millenarie e sconosciute ai più comuni. La Casa Lilla appare come un vecchio fantasma in una città che ha nuovi valori, nuove esigenze. La metropoli milanese perde i quartieri della moda, le piazze del business e del lavoro infinito e diventa un fumoir parigino, con l’aria magica di inizio ‘900. Il mondo di Cabaret Maldoror prende vita a metà tra il reale e l’immaginario, si costruisce su quel filo rosso che “separa” ciò che vediamo da ciò che sentiamo. Ci si questiona su quanto esso esista davvero o sia solo una proiezione dei nostri sensi alterati. O della nostra lenta e inesorabile discesa verso la nostra anima.

La prosa lirica

Coloro che hanno letto altri libri di Ian Delacroix troveranno in questa raccolta la conferma di quanto l’autore padroneggia la parola e il suo suono. La sua prosa lirica guida la lettura in un vortice infinito, dove si perdono i punti di riferimento e ne nascono di nuovi. Gioca sui sensi del lettore, sugli spazi che la la mente disegna e ne cambia le dimensioni come un architetto folle. Lo stesso vortice di parole e immagini che aveva anticipato in Epifanie – altra raccolta, edita da Delos Digital – ritorna qui più maturo, più concreto. C’è della poesia francese nel suo stile, quello sguardo dolce che si appoggia sugli angoli della città e li riporta sulla pagina con ubriaca malinconia.

Cabaret Maldoror non è un libro scritto “da manuale”, con tutte quelle regoline studiate e applicate alla perfezione. La personalità dell’autore si ritrova in uno stile che riesce a dare una nuova sfumatura al genere weird. Ian Delacroix mette in campo tutte le sue influenze, letterarie e non. Nelle parole ci sono ritmo, romanticismo, una musica che arriva da lontano e rimane indecifrabile fino all’ultima virgola. E una volta conclusa la lettura, tutto torna più chiaro.

Romanticismo weird

Cabaret Maldoror è l’ennesima conferma della ricerca instancabile di Ian Delacroix, sia per la lirica della sua scrittura che per le suggestioni tematiche proposte. Alcuni elementi ricorrenti nelle sue opere ritornano anche in questa raccolta, contribuendo ad ampliare e consolidare il suo worldbuilding. Rispetto ad altri esponenti del weird non possiamo parlare di un vero e proprio pantheon, ma più di eventi e rituali che affliggono una determinata cerchia di persone. Appuntamenti con l’esterno che non si riescono a programmare, ma che accadono, inevitabilmente.

Il Carnevale Giallo, le marionette, i culti antichi e occulti che tratteggia Ian Delacroix possono far pensare a citazioni da maestri come Robert William Chambers o al contemporaneo Thomas Ligotti. Parliamo comunque di un genere che fa del citazionismo una caratteristica fondante, ma non è del tutto questo il caso. Qui sono le atmosfere che vengono poste al centro dell’attenzione. Altro fattore che identifica Ian Delacroix è quel sentimento romantico, quella vena sofferente che dà l’impressione di originarsi fuori dalla pagina. Il dolore, la nostalgia, la mancanza di qualcosa difficile da definire sono elementi fondanti della poetica dell’autore. Senza queste leggeremmo un weird “canonico”, di cose strane che si susseguono senza particolari ragioni.

Per un attimo lasciamo da parte il mare, presenza costante nelle opere di Ian Delacroix. Immergiamoci in una città buia, sfuggente. Ascoltiamo le storie dei passanti nel Cabaret Maldoror mentre si sente una musica crescente, folle, senza morale. Il Carnevale Giallo è un po’ il prossimo Halloween.