Harakiri, Capitolo I – Recensione

harakiri

Harakiri, nato dalla penna di Andrea Virnicchi, in arte Virand, è l’innovativo fumetto, tutto Made in Italy, disponibile attualmente sulla piattaforma Jundo. Crudo e irriverente, dai disegni cartooneschi che strizzano l’occhio ai classici del fumetto italiano, pone da subito le basi per una storia che sembra avere tutte le carte in regola per rivelarsi una vera e propria epopea.

“Sospira, guerriero… All’ombra del telo scarlatto… La mantide ormai riposa.

La storia si apre nelle terre del Nihon. Un giovane con due spade legate in vita fissa il cielo azzurro, dove volteggiano elegantemente i petali dei ciliegi in fiore. Basta un sospiro perché i ricordi paiano riaffiorargli alla mente. “Sono già passati 14 anni” annuncia, prima di imbarcarsi nel racconto di una leggenda: la storia del più grande guerriero del Nihon. Sullo sfondo di un paese abitato da un popolo codardo e diviso, privo di onore, il narratore ci introduce alla storia di come esso sia stato riunito sotto il vessillo di una grande guerriera e di come ella sia divenuta… il primo samurai!

Sono queste le premesse che ci permetteranno di viaggiare indietro nel tempo, in un’epoca in cui il Nihon viene presentato ancora come una terra divisa. Richiamando un po’ alla mente l’immagine del Giappone feudale in un’era precedente allo shogunato, Virand porta a spasso i suoi lettori tra i villaggi che sorgono alle pendici del monte Fuji e, senza troppo tergiversare, lo getta sin dall’inizio nel pieno dell’azione, tra violente incursioni e duelli a suon di spada.

Ciò che emerge sin dalle prime battute di questo intrigante capitolo è l’eccellente impostazione della narrazione. Pur presentandosi come una storia nella storia, l’autore svolge un lavoro egregio nel porre le fondamenta sulle quali poggeranno le vicende della protagonista. Inquadrando sin da subito l’arco temporale, il luogo e le caratteristiche dello stesso in cui esse si svolgeranno, al lettore è permesso immergersi immediatamente in ciò che sta accadendo, senza bisogno di prolisse spiegazioni o ulteriori dettagli. In poche battute e con abili pennellate, il palcoscenico su cui Harakiri farà il suo ingresso è già predisposto, tanto che chi legge avrà senza dubbio la sensazione di sapere esattamente dove si trova e che cosa sta per succedere. Ma nulla è scontato in questa storia.

Mai dare qualcosa per scontato

Nonostante il costante uso di riferimenti al Giappone tradizionale, rinvenibile nei tipici Sakura in fiore che fanno da contorno ai bellissimi scenari o nella bandana della protagonista, chiaro richiamo alla bandiera nipponica, il paese che ci viene mostrato è lontano dai valori tradizionali giapponesi a cui i lettori assidui di manga e romanzi orientali possono essere abituati.

Gli uomini che ci vengono presentati sono guerrieri, sì, ma si evince al primo sguardo che essi non combattono per la patria e men che meno per l’onore. Sono dei bruti, privi di alcun tipo di valore, connotati da una componente barbarica che sembra ben lontana dall’idea del soldato-servitore tipico del Giappone feudale.

A fare da contrappeso a queste deprecabili figure maschili, dalla mano di Virand nasce quindi Harakiri, una figura femminile forte, autorevole, dallo sguardo austero e fiero, pronta a sguainare la spada a difesa dei più deboli.
In un’epoca in cui l’arte militare sembra essere monopolio assoluto dell’uomo, ci viene presentata una donna guerriera senza paure, erta a paladina della giustizia.

Dalla storicità all’innovazione il passo è breve

E’ interessante notare la scelta narrativa di una protagonista femminile destinata a divenire il primo samurai. Storicamente, infatti, i Samurai erano i membri della casta militare, coloro che servivano e proteggevano la nobiltà. Con tale termine si faceva riferimento a uomini-guerrieri. Di contrasto vi erano le Onna-bugeisha, donne-guerriere, appartenenti alla nobiltà che, istruite alle arti marziali, potevano occasionalmente combattere al fianco dei Samurai.

Ma la protagonista di questo racconto non viene presentata come una donna dalle nobili origini, né come un soldato al servizio della nobiltà, il suo passato ci è oscuro. Harakiri è una combattente solitaria che marcia a tempo del suo personalissimo ritmo. Non rispetta i tipici canoni di femminilità, allontanandosi dallo stereotipo della donna come figura delicata e mostrandoci una guerriera fredda, dal linguaggio crudo e dai modi grezzi. Harakiri, col suo splendido volto che riesce a conquistare anche i suoi nemici, parla e agisce proprio come un uomo, avvicinandosi così, forse più facilmente agli occhi del lettore, alla figura del Samurai che è destinata a diventare.

Narrazione e illustrazioni…

In questo primo capitolo in cui è possibile iniziare a scorgere solo l’inizio di quella che sembra essere la leggenda di Harakiri, viene da subito in evidenza il peculiare stile artistico dell’autore. Virand sembra voler giocare con i contrasti e ciò emerge chiaramente sia dalle illustrazioni, sia dai toni utilizzati per la narrazione. Attraverso il magistrale uso dei colori di Francesca d’Aniello , infatti, il lettore viene immediatamente trasportato nei fantastici luoghi dipinti sullo sfondo delle tavole.

Nel momento in cui vi si poggia lo sguardo, il cielo infuocato del tramonto sembra prendere vita: il rosso acceso del sole calante si mescola al rosa dei fiori di ciliegio, tinge lo sfondo di un colore intenso, quasi prepotente, sino a quando i toni caldi del mattino non lasciano spazio ai quelli freddi della notte. Il rosa si intinge nell’indaco del cielo serale, sino a divenire un lilla tenue. L’intensità del giorno sembra lasciare spazio alla tranquillità della notte attraverso delle impercettibili sfumature di colore.

L’accuratezza e l’attenzione che viene riservata all’illustrazione dei paesaggi e degli sfondi permette di entrare appieno, sin dal principio, nell’ambientazione del Nihon proposta dall’autore. Il realismo di questi, tuttavia, viene in qualche modo smorzato nell’istante in cui vengono presentati i primi personaggi. Quasi a voler contrastare la serietà mostrata nella rappresentazione del setting, questi ci vengono mostrati in modo particolarmente cartoonesco. Così i volti degli uomini sono allungati o schiacciati nel tentativo di fargli assumere forme impossibili, le smorfie sui loro volti sono accentuate in maniera quasi innaturale, le fiamme che avviluppano le case sono statiche e monocromatiche.

Anche nelle scene d’azione è possibile notare la volontà di evidenziare questo stile, al punto che tagliando di netto il corpo di un nemico, esso viene rappresentato come il classico prosciutto rosa con l’osso bianco al centro, piuttosto che come un vero e proprio essere umano. Allo stesso modo, le tavole si riempiono di onomatopee grandi e colorate che più che richiamare i rispettivi suoni alla mente, per completezza dell’opera, sembrano fare da spalla allo stile caricaturale, aiutando all’occorrenza a sfumare la pesantezza delle tematiche.

...vanno a braccetto

Il contrasto tra il realismo degli sfondi e lo stile cartoonesco dei personaggi, tuttavia, non stona con l’andamento dell’opera. Al contrario sveltisce la lettura rendendola più scorrevole e di più facile approccio per un pubblico più vasto, senza farle perdere l’attrattiva data dai toni cupi. In tal senso, lo stile di disegno che pare utilizzato per porre l’accento sulla vena comica dell’opera, si dimostra utile ad alleggerire le scene più violente e brutali, senza dover rinunciare a quella componente splatter che, in una storia sulla nascita dei Samurai, proprio non può mancare.

Ma anche l’uso di questo contrasto tra violenza e commedia non è lasciato al caso, bensì sapientemente dosato nel fluire della storia. Proseguendo nella lettura, infatti, è possibile notare come non sempre le scene più forti siano effettivamente smorzate dallo stile caricaturale. L’autore, infatti, scegliendo quando e come calcare la mano sulla cartoonizzazione dei suoi disegni e quando invece evitare, è stato in grado di rendere l’opera più scorrevole nel suo complesso, senza necessariamente sacrificare quei momenti del racconto che dalla violenza traggono la loro importanza.

In particolar modo, ciò è evidente man mano che il capitolo si appresta ad avvicinarsi alla sua conclusione. Senza dimenticare che quella di Harakiri è già una storia nella storia, Virand cerca di portare il lettore ad un livello successivo. Un po’ come un sommozzatore che nella sua immersione si accinge ad entrare in una grotta, è la stessa Harakiri che ci viene raccontata a divenire, a sua volta, narratrice. Le lancette del tempo si spostano ancora più indietro, i toni si fanno ancora più tetri e l’assenza di caricature pronte a sdrammatizzare lascia intendere, senza dubbio alcuno, di essere dinanzi ad un momento topico del racconto.

Ma questa storia è un’ostrica che nasconde gelosamente la sua perla e il lettore dovrà avere la pazienza di aspettare che essa si schiuda davanti i suoi occhi, prima di poterne ammirare la rara bellezza.

Così, attraverso l’abile ricorso allo strumento della suspense, l’autore riesce a mantenere l’interesse di chi legge sempre vivo e assicurarsi che la voglia di continuare la lettura non muoia facilmente. In definitiva questo primo capitolo di Harakiri, oltre ad essere una piacevole ed intrigante lettura, riesce perfettamente nel suo intento di incuriosire chi legge. E’ in grado di bilanciare humor e violenza, sfruttando al massimo i suoi punti di forza, sia nelle illustrazioni che nella tecnica narrativa, assicurandosi così la totale attenzione dei suoi lettori.