Il Viaggio | Recensione

Eris Edizioni si impegna a portare il lettore in una dimensione onirica e in quietante, apparentemente fuori dal tempo e dallo spazio. Il Viaggio di Marco Corona è un’opera di 260 pagine che incrocia epoche, sensi e angosce umane.

C’è una villa abbandonata, un tempo fastosa, dove ora i tossici vanno a drogarsi e i bambini a cercare avventure. Potrebbe essere una casa infestata o una fantasia lisergica o, ancora, una delle tante porte dell’inferno. Tanti anni fa, qui scomparve senza lasciare traccia la figlia del conte Levis, mentre oggi il suo fratellino (uno spettro?) stringe amicizia con i bambini del luogo, aprendo loro un mondo mutevole di meraviglie e di orrori. Il viaggio trascina il lettore in un’abbagliante, nerissima, allucinata esperienza visiva, per raccontare lo stupore e la durezza dell’infanzia, le minacce della realtà e quelle dei sogni.

Il viaggio: costruzione dell’opera

Volutamente criptica, la trama de Il Viaggio si articola in maniera confusionaria tra il piano della realtà tangibile e quello di una fantasia onirica senza freni di sorta. Fulcro della trama è, apparentemente, la stessa villa che costituisce anche l’ambientazione dell’opera.

Il viaggio è una specie di porta attraverso la quale si esce dalla realtà come per penetrare in una realtà inesplorata che sembra un sogno

Guy de Maupassant

Una magione misteriosa, apparentemente abbandonata, dove in tanti si recano per drogarsi, che ospita personalità singolari, tra cui il fratello della contessina Levis, scomparsa misteriosamente anni prima del momento (indefinito) in cui si svolge la storia. Il lettore fatica a comprendere il mondo visionario che si cela al di là del muro di cinta della villa. Siano fantasmi, siano visioni, siano bambini e persone in carne e ossa, non è dato saperlo. I dialoghi sono oscuri, e, a tratti, richiamano alla mente del lettore la corrente filosofico-letteraria dell’Esistenzialismo novecentesco.

Un’opera compatta

È racchiusa in meno di 300 pagine e in pochi, stringati dialoghi, un’esperienza multisensoriale per il lettore, che si sente stordito dalla quantità di elementi presenti nelle tavole de Il Viaggio. Marco Corona è capace di condensare le emozioni nel susseguirsi delle tavole. Spesso, difatti, ci si trova a scorrere le pagine presi da una morsa allo stomaco.

Gli appassionati dell’horror probabilmente affronteranno la lettura di questo volume con l’occhio indagatore di chi cerca il jumpscare per prevenirlo. Resteranno, forse, con l’amaro in bocca, ma questo sentore di delusione subito sarà sostituito da un soddisfacente senso di ansia, dato dal cambio repentino di inquadratura che ne spezza spesso il climax ascendente. Non è difficile perdersi tra le pagine del volume, che spesso hanno bisogno di una seconda lettura o di un’osservazione approfondita, data la densità.

Viaggiare è come sognare: la differenza è che non tutti, al risveglio, ricordano qualcosa, mentre ognuno conserva calda la memoria della meta da cui è tornato.

Edgar Allan Poe

Dialoghi

Pochi ma buoni, i dialoghi de Il Viaggio creano un senso di distacco sia dalla realtà del lettore che da quella rappresentata. Si crea una dimensione allucinata grazie al potere della parola, che spacca in due i piani della narrazione (quello della villa e quello del giovane conte Levis, fratello della contessina scomparsa), regalando un sentore vago di quel filone epistolare della letteratura dell’Ottocento e di Esistenzialismo del Novecento.

Un viaggio tra gli stili: il comparto grafico

Descrivere l’aspetto del volume di Marco Corona è, certo, complesso. Sulle sue tavole, infatti, è presente una forte eterogeneità di scuri, di neri, di tratti netti e graffiati, di retini. Quello che salta subito all’occhio è il senso di espressione dell’inconscio: non c’è una regola precisa, che non sia il senso di lettura (e, talvolta, anche questo viene destabilizzato). Ne Il Viaggio convergono personaggi ritratti con tecniche più realistiche e altri che sembrano derivare direttamente dal genere umoristico. È anche da questo forte senso di disomogeneità che deriva il fascino dell’opera, mai regolare, sempre al limite tra la realtà contingente, il sogno e l’ultraterreno.

In sintesi

Marco Corona ne Il Viaggio, pubblicato per Eris Edizioni, racconta una realtà ibrida, appesa tra la dimensione sensibile e quella onirica. Una discesa all’inferno data da una visione del mondo allucinata: una villa apparentemente abbandonata, avvolta dal mistero di una misteriosa scomparsa. Un giovane alla ricerca della sorella che sembrerebbe cristallizzato nel tempo, a metà tra il Romanticismo e il Decadentismo. In preda a una condizione di solitudine esistenziale, il giovane conte Levis si trascina nel mondo, alle prese con un contingente che, forse, non esiste.