Le gemelle di Auschwitz- Recensione

Le gemelle di Auschwitz copertina

Tenere vivo il ricordo dell’Olocausto, per far sì che situazioni terribili come quelle dei campi di concentramento non si ripetano più, è un dovere estremamente importante che abbiamo. C’è differenza però, tra studiare questi eventi a scuola, su manuali didattici pieni di numeri e statistiche e leggere una testimonianza diretta di una persona che quelle esperienze le ha vissute per davvero e che, grazie alla sua forza ed astuzia, è riuscita a sopravvivere e a non essere una di quelle cifre. Eva Mozes, testimone oculare degli eventi, e Lisa Rojany Buccieri fanno proprio questo nel nuovo libro edito Newton Compton e intitolato “Le gemelle di Auschwitz”. Si propongono di tramandare la storia di Eva, fatta di coraggio e tenacia, a una nuova generazione di lettori.

Una storia vera.

Due sorelle deportate a soli dieci anni nel più terribile campo di sterminio e miracolosamente sopravvissuteNell’estate del 1944, Eva Mozes Kor giunse ad Auschwitz con la sua famiglia. Insieme alla sua gemella, Miriam, venne affidata alle cure del dottor Josef Mengele. Nonostante ai gemelli fosse concesso, all’interno del campo, il “privilegio” di conservare i propri vestiti, non venivano loro risparmiati i più atroci esperimenti. In un racconto crudo, che tratteggia in modo semplice quali erano le condizioni di vita nel più brutale campo di sterminio della storia, l’autrice offre la testimonianza di una bambina che si trova a fronteggiare il vero volto del male. 

“Non eravamo stati portati in un campo di lavoro ungherese per essere sfruttati, ma in un campo di sterminio nazista per essere uccisi.”

Sicuramente, vicino a tante altre storie famose, la storia delle due gemelle sopravvissute agli esperimenti “dell’Angelo della morte” è una tra le più conosciute. Le due ragazze, Eva e Miriam, provenivano da una famiglia di origine ebraica che abitava a Portz, nella Romania. I primi dieci anni della loro vita sono stati un periodo pressoché normale: andavano a scuola, giocavano con i loro amici e avevano dei genitori tutto sommato volevano loro bene. La madre si divertiva a vestirle e pettinarle in maniera uguale così da farle sembrare due bambole. Il padre invece, presentato come il classico pater familias del 1900 che avrebbe voluto avere un figlio, anziché quella schiera di femminucce, viene descritto come una persona severa e autoritaria. Nonostante ciò, nella Postfazione del romanzo, è la stessa Eva che ammette quanto proprio la severità del padre si sia dimostrata essere essenziale a prepararla al campo di concentramento.

“L’unica cosa che sapevamo era che di punto in bianco eravamo da sole. Avevamo soltanto dieci anni.”

La loro esistenza relativamente serena però, viene interrotta nell’estate del 1940, quando Hitler cede la parte settentrionale della Transilvania all’Ungheria. Trovandosi Portz proprio in quel territorio, le persone iniziano fin da subito a preoccuparsi dell’arrivo dell’esercito ungherese nel loro paesino. L’esercito arriva, ma non danneggia in apparenza nessun ebreo. La famiglia di Eva pensa, quindi, di poter tirare un sospiro di sollievo. Purtroppo però, come ben presto scopriranno le due gemelle, non sono i fucili dei soldati ciò che devono temere: ma la propaganda antisemita attuata dal nuovo Governo. Da un giorno all’altro, i manuali scolastici tradizionali vengono sostituiti da libri che presentano vignette satiriche sugli ebrei o problemi matematici che concernano l’uccisione di quest’ultimi. Le maestre e gli altri allievi emarginano le sorelle; le giovani reclute dell’esercito prendono di mira la loro casa.

Tramite la narrazione in prima persona e l’accompagnamento delle foto presenti nel libro, il lettore verrà investito dalla sensazione di angoscia e oppressione che le due sorelle hanno provato. Tramite le descrizioni dei pensieri e delle emozioni di Eva, riuscirà a sentire quell’atmosfera di ansia, paura e incertezza che deve aver vissuto ogni famiglia ebraica di questo periodo.

“Noi davamo a loro il nostro sangue, i nostri corpi, il nostro orgoglio e la nostra dignità, e loro in cambio ci lasciavano vivere un altro giorno.”

Dopo l’arrivo ad Auschwitz, le due gemelle vengono separate dalla famiglia che non rivedranno mai più. Finiscono nelle grinfie del dottor Josef Mengele, passato alla storia con il nome di “Angelo della Morte”. Questo personaggio sembra uscito da un libro gotico ottocentesco, paragonabile solo al famoso dottor Victor Frankenstein. Ma mentre questi lottava per ridare la vita ai suoi cadaveri, Josef Mengele era più interessato a toglierla. Sono noti i suoi esperimenti nei quali cercava di aumentare la fecondità delle donne tedesche; a cambiare i geni dei feti, così da far nascere tanti piccoli ariani dai capelli biondi e dagli occhi chiari. Famosi sono anche i suoi esperimenti in cui iniettava a un gemello un determinato virus e poi lo confrontava con il corpo del gemello sano.

Insomma, anche se sembrano veramente racconti usciti da un libro horror degno di Stephen King, purtroppo, essi non sono frutto della fantasia di uno scrittore, ma episodi realmente accaduti, descritti nel libro da una Eva-bambina. L’impatto emotivo che questo romanzo inevitabilmente ha sul lettore è accresciuto dal fatto che tutti gli avvenimenti narrati sono stati visti, sentiti e provati da una ragazzina di dieci anni. Una ragazzina di dieci anni che si è ritrovata da un minuto all’altro senza famiglia e con una gemella a cui badare.

Tra le due sorelle, è sicuramente Eva a essere quella più determinata e testarda. Lei si rifiuta categoricamente di lasciare il campo di concentramento su un carro pieno di cadaveri. Sarà proprio questo proposito che la farà tirare avanti: Eva riuscirà letteralmente a sconfiggere le leggi della natura per sopravvivere. Ad un certo punto, difatti, racconta di un malanno, grave tanto che persino il dottore e le infermiere danno per scontato il suo inevitabile decesso. Invece lei, pur di non lasciare la sorella sola al mondo, riesce a guarire senza medicinali, bevendo solo un po’ di acqua ogni notte.

“Molti prigionieri avevano patito anche troppo e a tanti di loro non era rimasto neanchè un briciolo di compassione per gli altri.”

Dopo la loro liberazione, l’autrice informa i lettori di tutto quello che Eva ha fatto in seguito: si è costruita una vita, ha iniziato a lavorare, si è trasferita negli Stati Uniti dove ha anche sviluppato una grande passione per i Chicken McNuggets e ha avuto una famiglia. Da persona combattiva che era, però, le è risultato impossibile non lottare per rendere il mondo consapevole degli orrori che lei, e molte altre persone, hanno subìto nei campi di concentramento.

Eva ha parlato in molte occasioni pubblicamente, è andata in televisione, è stata protagonista di un documentario pubblicato nel 2006  e intitolato “Forgiving Dr. Mengele”;  è stata accanto agli altri sopravvissuti e li ha aiutati a ottenere giustizia e indennizzi economici; ha sostenuto disegni di legge per rendere obbligatorio lo studio dell’Olocausto nelle scuole e ha accompagnato numerosi gruppi di persone a visitare Auschwitz. Nel 1984 fondò CANDLES, un gruppo di sostegno che riuscì ad aiutare circa 122 superstiti a superare i loro traumi.

“Occorre perdonare anche il peggior nemico e chiunque ci abbia fatto del male, perché questo cura le ferite dell’anima e rende di nuovo liberi.”

Questa è solo una piccola parte delle tante azioni che Eva ha intrapreso e portato a termine nel corso della sua vita. Un resoconto più dettagliato si trova nella Postfazione del romanzo, dove l’autrice racconta degli aneddoti molto interessanti, che vi faranno conoscere Eva a 360 gradi.

Eva è famosa soprattutto perché è stata cosi forte da perdonare i suoi nemici. Lei ha ridefinito il significato di questa parola perché, per lei, il perdono era un fatto personale, liberatorio, di auto guarigione. Tramite il perdono, ha potuto lasciar andare la sua rabbia nei confronti dei nazisti; ha potuto quindi permettere a sé stessa di vivere la vita che si è guadagnata tanto duramente. E’ forse per questo che Eva concludeva tutte le sue conferenze dicendo: “La rabbia è un seme di guerra. Il perdono è un seme di pace.