
Immagina di morire dopo una dose di eroina, insieme al tuo ragazzo che ti promette che ritornerete indietro e starete insieme per sempre. Ci crederesti mai? Mirta, la protagonista di Non mi uccidere, scritto da Chiara Palazzolo e pubblicato da Edizioni Piemme per la prima volta nel 2005, all’inizio non ne è tanto convinta, ma per amore sceglie di spararsi comunque quella dose in vena. E ritorna per davvero, si libera dalla sua bara eliminando il marmo come una coperta pesante e opprimente, ma del suo amore non c’è alcuna traccia.
Mirta ha vent’anni. È intelligente, bella, con una famiglia normale alle spalle. Un giorno conosce Robin, dieci anni più di lei, affascinante, misterioso. È il colpo di fulmine. Gli ingredienti del loro rapporto sono un grande amore e l’eroina. Saranno fatali per entrambi. Si erano giurati di non lasciarsi mai e Mirta mantiene la promessa. Qualche giorno dopo il funerale, esce dalla tomba, ma di Robin nessuna traccia. Lei si accorge di essere cambiata, ormai fa parte della schiera fittissima dei sopramorti, quelli che non trovano pace. Ma per sopravvivere ha bisogno di mangiare. È la carne umana che le dà forza, la carne e il sangue. E la fame aumenta.
“Gli credevo, quando mi diceva che non mi avrebbe lasciata più. Ma non gli credevo quando diceva che non si sarebbe bucato più.”
Non mi uccidere è diviso in più parti. Nella prima vediamo la morte di Mirta e il momento in cui sbuca fuori dalla sua tomba. Disperata, sola, priva di spiegazioni sul perché sia ancora in vita e per quale motivo non senta freddo né fame, Mirta cerca di sopravvivere mentre aspetta che Robin esca a sua volta dalla lapide. Le ha promesso che sarebbero stati insieme per sempre, e così dev’essere.
Mirta ci crede e non si arrende, i ricordi del passato tornano a galla poco alla volta, la travolgono. Ha nostalgia di tutto, perfino degli esami universitari che le mettevano ansia, le manca Perugia e la sua vita di prima, ora che continua a nascondersi e fuggire, vivendo nei boschi, rubando vestiti e cibo che poi non mangia, accumulando provviste che non le servono davvero. Le manca la sua famiglia, nonostante i problemi, i litigi, i permessi difficili da ottenere. Si pente di tutto, piano piano. Dell’eroina, dell’amore per Robin, che rivaluta in continuazione, di aver mollato tutto per inseguire una storia che a tratti le dà speranza e a tratti la uccide (non letteralmente, poiché è già morta).
“L’amore è rovinoso, a volte.”
Il romanzo è un gotico eccezionale. L’amore (l’ossessione, il ricordo rancido di un qualcosa che feriva e creava sorrisi al tempo stesso) si mescola alla morte, quella vera. Alla follia, la stessa che cresce a dismisura, un pasto alla volta. Perché Mirta, per non decomporsi e diventare tutta una chiazza nera e putrescente, ha bisogno di mangiare. Mangiare la carne umana. Dilaniare la pelle e i muscoli, strappare via tutto con i denti e assaporare quel dolce sentore di latte e miele.
Non mi uccidere è un romanzo marcio, dark, viscerale, decadente, violento, oscuro, gravido di colori e suoni, di graffi e morsi.
Lo stile è particolare. Non esiste punteggiatura nei dialoghi, dimenticatevi le virgolette, sono parole che rimbombano nel vuoto della mente della protagonista. Poche virgole, tanti punti. Sono presenti molte frasi spezzate, danno ritmo al testo e fanno sentire il lettore nella mente di Mirta, attimo dopo attimo. Scelte volute dell’autrice, e funzionano.
“È diventato un mondo orrido. Terrificante. Un mondo infernale. L’intero mondo, ormai, non è altro che una gran tavola imbandita su cui strisciano milioni di vermi affamati. E tutti quei vermi sono io.”
Le atmosfere sono cupe. Spesso è ambientato nel cimitero in cui si è risvegliata Mirta, e in cui torna di continuo, in attesa del risveglio del suo innamorato.
I personaggi sono numerosi, ma colpiscono tutti. Susy, all’inizio. Poi Paco. Infine Sara.
Una miriade di vittime vengono seminate per i boschi e per le strade, con la loro dose di peccati sulle spalle ma, con la rabbia che scatenano nel lettore e dentro Mirta, ogni pasto è sbagliato? In realtà è solo fame. Una fame disperata che non fa sconti, che non risparmia nessuno, e che una volta appagata lascia addosso la stessa sensazione di un orgasmo.
All’interno di Non mi uccidere sono presenti svariate ripetizioni ma sono fatte di proposito, fanno parte dell’esperimento dell’autrice, alla ricerca di una narrazione in grado di catapultarti nella mente di Mirta e di non farti più risalire dal baratro. È un romanzo poetico anche nelle sue esplosioni di violenza e sangue. Sporco quando si parla d’amore.
“Vorrei morire, ma credo di essere già morta e non so dove andare.”
Non mi uccidere non è un libro per tutti. Lo si consiglia ai lettori del gotico, del macabro; a coloro che non si impressionano facilmente quando vengono tirati fuori dei temi sensibili.
In conclusione, il primo libro della trilogia di Mirta-Luna è una bomba. Un esperimento eccezionale, ben riuscito, solo per i palati più raffinati. Lascia molta voglia di leggere anche il romanzo successivo.