Prison Experiment | Recensione

PRISON EXPERIMENT

Era il 1971 quando fu avviato per la prima volta L’esperimento della prigione di Stanford. Un’esperienza psicologica per indagare il comportamento e la natura umana. L’esperimento è uno dei più conosciuti a livello accademico ed ha ispirato anche diversi film, tra cui The Experiment di Scheuring del 2010. Nel seminterrato dell’edificio di psicologia della Standford University, fu creata una prigione finta in cui 24 studenti universitari, volontari, ricoprivano i ruoli di detenuti e guardie. Con il primo volume di Prison Experiment, scritto da Kantetsu , disegnato da Chiho Minase ed edito da Goen, la mela non cade così lontana dall’albero.

Allo studente delle superiori Aito Eyama, disperato per le assurde vessazioni che subisce giorno dopo giorno, viene recapitata una lettera. Al suo interno vi è l’invito per partecipare al “Gioco della prigionia”, nel quale può tenere prigioniero per un mese chi preferisce. In questo lasso di tempo, può fare al suo prigioniero qualunque cosa, tranne ucciderlo. Oltre a ciò, può entrare in possesso di una grossa somma di denaro, a patto che il suo nome non venga scoperto dall’altro. Aito diventa così l’aguzzino di Aya Kirishima. Durante la prigionia, non solo Aya, ma anche il cuore di Aito si distruggerà sempre più.

Il mondo è pieno di cose irrazionali

Prison Experiment è un seinen fortemente a tinte psicologiche con qualche sfumatura horror. La psicologia che Kantetsu esibisce nell’opera, infatti, regna sovrana. Partendo dal concetto dell’irrazionalità, il mangaka inserisce chiaramente spunti che, in un certo senso e in una certa forma, strizzano l’occhio attraverso “le tragedie” e l’ingiustizie. E qui non possiamo non citare Medea nella letteratura Greca, Nerone in quella latina (tratte dalle opere di Seneca), The Lord of the Files di William Golding, le teorie dell’IO, Super IO e dell’Es di Freud e l’irrazionalità dei totalitarismi dei lager nazisti e dei gulag sovietici. E perché no, anche la contrapposizione tra spirito apollineo e spirito dionisiaco tematizzata da Nietzsche. Questi argomenti sono tutti ripresi e riportati su un concetto ahimè moderno, di cui si parla sempre troppo poco (per sensibilizzare). Parliamo del bullismo e di ciò che ne potrebbe sfociare se la vittima – un giorno – decidesse di reagire in una vendetta che inevitabilmente porterebbe alla distruzione di entrambi.

La caratterizzazione dei personaggi all’interno di Prison Experiment è molto interessante. Se da una parte abbiamo Aito, timido liceale insicuro e già stanco – nonostante la sua giovane età – di vivere, dall’altra abbiamo Aya, la classica stronza, narcisista, violenta allo stremo del bipolarismo. La stessa che usa questa corazza, fatta di odio verso tutti, per una fragilità dovuta a questioni di famiglia. Una contrapposizione che porta i due ad essere diversi ma nel contempo uguali in quanto l’uno rivive ciò che ha vissuto l’altro precedentemente indossando le due maschere. A questi due si unisce Harakawa, il referente di Aito, un goffo uomo dal viso buono che introduce Aito al gioco (personaggio che ci vede lungo…) e altri concorrenti carcerieri come lo stesso personaggio principale. Volutamente non ci apprestiamo a dirvi chi sono, lasciandovi così il piacere di conoscerli leggendo l’opera.

Trenta giorni di terrore. Che geleranno sia me che lei.

Chiho Minase, con la sua prima come disegnatore, riesce a dare valore ad una storia che gronda vendetta e dolore da ogni poro della carta. Infatti, la sua arte è palesemente frutto di uno studio da classica scuola moderna manga. Ad impreziosire le linee pulite e la fluidità c’è proprio il suo essere dinamico e “sporco”. Questo soprattutto nelle scene cariche di suspance, d’azione, di momenti ad alta tensione. Le chine, le matite e i neri, vengono usati magistralmente rendendo momenti salienti davvero di forte impatto. Altro plauso va nel raffigurare l’espressioni delle “doppie” personalità dei personaggi. Anche questo, stilisticamente parlando, dà maggior spessore non solo alla storia ma anche a un susseguirsi artistico che smorza e permette di cambiare ritmo visivo.

L’opera, uscita in madre patria nel 2016, è fortunatamente conclusa in 10 volumi. La Goen fa uno splendido lavoro per quanto riguarda la qualità del manga. Infatti la sovraccoperta e le grandi dimensioni uguali a quelle di un libro (light novel o dimensioni Tower of Good della Star Comics, per intenderci) avvalorano maggiormente il lato artistico. Ahinoi, non sono presenti pagine a colori.

In conclusione, questo primo volume di Prison Experiment risulta essere convincente. I temi trattati e tutto il comparto artistico non vi lascerà con l’amaro in bocca. Anzi, avrete voglia di avere subito il volume due tra le mani così da divorarlo. Un’opera particolare, soprattutto perché avrete la possibilità di assistere alla distruzione e alla vendetta di un essere umano (o più) attraverso la deindividuazione e quindi la perdita totale dell’autoconsapevolezza e dell’autocontrollo, dove la rabbia e il dolore si uniscono dando largo a qualcosa di oscuro e violento.