Regno di Carne e Fuoco – Recensione

Regno di Carne e Fuoco

A distanza di sei mesi dall’uscita del primo volume, settembre ha visto la pubblicazione del sequel della serie Blood and Ash, targato HarperCollins e scritto dall’inimitabile penna di Jennifer L. Armentrout.

Regno di Carne e Fuoco, a tinte fantasy epiche e narrato ancora una volta secondo il punto di vista della protagonista femminile, prosegue nell’esatto punto in cui il romanzo precedente si interrompe, per mezzo di un cliffhanger senza dubbio inaspettato. Essendo, dunque, libri che non prevedono vicende autoconclusive, è necessaria la lettura di Sangue e Cenere, recensito qui, prima di approcciarsi alla parte di storia di seguito analizzata.

“Sono un figlio del Primo Regno. […] Creato dal sangue e dalla cenere di tutti coloro che sono caduti prima di me. E da sangue e cenere risorgo per reclamare ciò che mi appartiene. Io sono colui che voi chiamate l’Oscuro. […] Ho preso io la Vergine. E non intendo ridarvela indietro.”

Dopo le scottanti rivelazioni che hanno influito non solo sullo sviluppo degli eventi ma anche sul sistema di funzionamento dell’intero worldbuilding, Poppy è costretta a mettere in discussione tutto ciò in cui credeva con il timore costante di inciampare in bugie mascherate da verità ingannevoli. Tuttavia, quando attraverso prove lampanti, ragionamenti logici e dimostrazioni visive, si accorge che il racconto rivelato dalla bocca che l’ha pronunciato corrisponde effettivamente alla realtà dei fatti, inizia a comprendere il peso che grava sul significato della vera fiducia. Spesso il vero male è celato sotto virtuosi comportamenti e parole ammalianti.

Assieme a Hawke, la cui doppia identità viene svelata tra il primo e il secondo libro, e a compagni che in precedenza avrebbe trovato improbabili da avere accanto, Penellaphe intraprende un viaggio verso il Regno di Atlantia. Colonna portante di quasi tutto l’arco narrativo è infatti l’itinerario eseguito per raggiungere le terre del famoso principe, lontano da esse ormai da troppo tempo. Tra battaglie improvvise, scoperte disarmanti e momenti riflessivi che bruciano gli animi delle parti coinvolte, l’impavido cammino è in realtà sinonimo di più conseguenze rispetto a quelle previste a priori. Molte consapevolezze tendono a mutare e nuovi orizzonti tempestosi annunciano minacce imminenti.

“Sei bellissima quando sei cupa e silenziosa, ma quando ridi l’alba sulle Montagne di Skotos diventa tua rivale.”

Termine chiave, che contraddistingue anche questo secondo romanzo, è quello di verità. Si mantiene costante, infatti, la domanda che il lettore porta con sé dal primo libro. Quali informazioni, fornite dall’autrice, possono essere considerate certezze attendibili e quali invece no?

Ogni elemento che viene svelato conserva sempre un piccolo margine in cui, appunto, può non essere certo. Questo accade perché, lungo le pagine, non si possiede mai la sicurezza su ciò che la Armentrout rivela dato che i concetti possono contenere mezze verità o possono essere completamente rivoluzionati nel corso dello sviluppo della storia. Se da un lato, e come giusto che sia poiché è una serie ancora in corso d’opera, non può essere immediata la scoperta delle dinamiche reali degli eventi, dall’altro è facile entrare nei meccanismi narrativi della scrittrice.

Il linguaggio che lei usa è il suo marchio di fabbrica ed è ciò che la contraddistingue da sempre, ancor più in questo caso. Attraverso tecniche stilistiche e lessicali specifiche che mantengono la narrazione continuamente viva, chi legge sa, dopo tutto, che non è ancora giunto il momento delle rivelazioni totali e prosegue la lettura con impaziente attesa di scoprirle.

L’estrema semplicità e l’elevata fluidità della scrittura, laddove l’aggettivo semplice non minimizza affatto le numerose qualità che possiede, rendono la lettura di una bellezza che toglie il fiato. Coinvolgente, inaspettata, misteriosa, attenta ai dettagli sintattici e contenutistici, appassionante e sempre sul pezzo in qualsiasi tipo di situazione. L’autrice, inoltre, elabora lo sviluppo della storia con graduale e costante andamento al punto da rendere reale l’intera prospettiva temporale. Il lettore riesce così a percepire come concreta la realtà creata, sia da un punto di vista umano sia da uno cronologico.

“Essere pragmatici e razionali era l’unica maniera di vincere una battaglia e sopravvivere a una guerra.”

Il risultato finale produce uno stile equilibrato sotto ogni singolo aspetto. Le descrizioni non sono casuali e non sono appesantite da elementi superflui, i dialoghi sono funzionali ai momenti cui si riferiscono, giusti nella loro collocazione e nella quantità di spazio che occupano. Le riflessioni individuali, le scene d’azione, gli istanti di suspense e le atmosfere di amore passionale ma al contempo intimo nella sua delicata e potente forza, sono padroneggiati con un modo di scrivere davvero incredibile. Ogni componente ha una sua pertinenza e nulla è mai casuale.

Visto il modo con cui gli scenari sono stati disposti, è possibile dividere Regno di Carne e Fuoco in due parti, nonostante, talvolta, si possono ritrovare tratti tipici della prima anche nella seconda. Fino al capitolo che sancisce la fase intermedia del libro, si assiste a momenti per lo più introspettivi che aiutano a conoscere meglio i personaggi qui maggiormente caratterizzati. La loro crescita personale è tangibile, evidente e costruttiva così come lo sono le relazioni presenti l’uno con l’altro. La seconda e ultima parte del libro, è dedicata a situazioni dinamiche e dagli effetti sconvolgenti le quali culminano in un finale aperto che, ancora una volta, sospende il racconto nel vivo degli eventi.

Tra supposizioni vaghe e ipotesi veramente ampie, si cerca di immaginare come possa proseguire la storia dall’universo paranormale e seppur alcune potrebbero largamente avvicinarsi al continuo effettivo, a discapito del tema centrale precedentemente palesato, è certa l’imprevedibilità di ciò che sarà.