Trilogia del Novecento | Recensione

Trilogia del Novecento di Eraldo Baldini è una raccolta di racconti -tre per la precisione- edita da Einaudi nel 2016 nella collana Super ET. I tre racconti, “Nostra signora delle patate”, “Terra di nessuno” e “Mal’aria”, sono accomunati, oltre che dall’essere ambientati tutti nella prima parte del secolo scorso, dalla stessa protagonista ovvero la paura.

Nel primo racconto, una strana e arrabbiata figura di donna appare come per magia ad una bambina di undici anni, Maddalena, in un campo lungo la strada di casa e recrimina quel terreno stesso. Maddalena farà l’errore di raccontare l’evento al suo unico amico che ingenuamente darà modo alla notizia di spargersi. Il riottoso quanto povero villaggio deciderà di sfruttare la cosa a proprio favore facendo credere ai futuri pellegrini che la figura fosse quella “di una Madonna”.

Nel secondo racconto, quattro amici tornati miracolosamente sulle loro gambe dalla Grande Guerra faticano a vivere nella società come prima del conflitto. Decidono così di tornare insieme per avventurarsi in dei boschi sperduti, isolati dalla civiltà, e guadagnarsi da vivere come produttori di carbone. Sin dalle prime ore della nuova avventura, però, iniziano a fare i conti con difficoltà sempre più provanti e soprattutto con le ferite, ancora fresche, che la guerra ha sepolto dentro di loro.

Nel terzo racconto, Carlo, un ispettore di sanità che vive a Roma, è costretto dai suoi superiori a recarsi in un villaggio immerso tra le risaie nelle paludi romagnole, sua terra di origine, per far luce su un repentino quanto strano innalzamento del tasso di mortalità, soprattutto infantile. Arrivato sul luogo farà i conti con un’anacronistica quanto radicata superstizione, con il clima umido e nebbioso, con la malaria ancora non del tutto debellata e, peggio ancora, con una squadra d’azione fascista ancora piena di potere in quelle lande sperdute.

La vera protagonista: la paura

Come accennato poc’anzi la paura è un teso filo conduttore che lega con diverse modalità tutti e tre i racconti. La paura, però, non è qui intesa esclusivamente come elemento che comporta spavento o terrore ma come l’emozione primaria che conduce chi la prova ad un senso di turbamento e spaesamento spesso dovuto alla percezione di un pericolo, reale o immaginario. Nei vari racconti sono presenti diversi elementi classificabili come sovrannaturali ma nessuno di essi è il centro della narrazione e tantomeno la causa principale delle paure che Baldini sviscera con maestria attraverso i suoi personaggi.

Il presunto spettro del primo racconto o la “Borda”, strega che secondo i braccianti romagnoli popola le loro paludi soffiando la malaria in faccia agli intrusi, sono solo elementi sfumati che garantiscono alla storia la vicinanza a quei tratti marcatamente tipici della superstizione e della malata spiritualità che ancora sopravvivevano nei villaggi e nei piccoli borghi durante i primi decenni del Novecento. Le vere paure con cui i personaggi sono costretti a fare i conti sono ben altre.

La paura dell’andare in guerra e soprattutto quella di chi, dalla guerra, è riuscito a tornare. Il terrore di una malattia comune quanto debilitante, se non fatale, con cui si finisce a convivere. L’angoscia che sono costretti a soffrire tutti quei personaggi che per i più disparati motivi non vogliono o non riescono ad omologarsi al pensiero e al vivere comune. Sono queste le paure che, come spesso accade, se non vengono affrontate a dovere portano al compiersi di misfatti o di violenze inaudite e tragiche.

Credenze popolari e spiritualità

Le innumerevoli superstizioni in cui i personaggi di Baldini credono ciecamente e l’eredità ancora viva e pesante della religione finiscono col creare un amalgama ironica e a tratti grottesca. I compaesani di Maddalena, nel primo racconto, sono tutti lontani per un motivo o per l’altro dalla vera religiosità. Dopo l’apparizione, però, fiutando la possibilità di ingenti guadagni non si fanno scrupoli a collegare quello strano evento ad un’apparizione sacra facendo sì che il clero doni sia soldi che lustro al borgo sperduto.

Nel terzo racconto, invece, si preferisce credere ad una presenza maligna per giustificare l’eccesso di Malaria e, piuttosto che ricorrere alla medicina, ci si affida alle strane preghiere e pozioni di una fattucchiera. La contraddizione dovuta a questi contrasti è viva più che mai nei vari protagonisti e, attraverso una scrittura asciutta ed evocativa allo stesso tempo, l’autore riesce a trasmettere questo senso di perdizione anche al lettore che si accorgerà, volente o nolente, che quelle superstizioni, che quelle storielle intrise di buio e paura dell’ignoto, sopravvivono, seppur con minor energia, ancora oggi.

La presenza di elementi tipici del folklore nostrano, nonostante possa sembrare solo accessoria o utile a veicolare qualcosa di più profondo o più grande, è fondamentale, quasi paradossalmente, per avvicinare il racconto alla realtà. Il folklore è qualcosa in cui riconoscersi, nonostante sia oggi considerato alla stregua di una fiaba, e da ciò la memoria sopita fa riemergere ricordi, a volte piacevoli a volte meno, che si consideravano perduti o che non si consideravano affatto. Che si tratti di una strega o di un lupo enorme che popola il bosco o della buia e silenziosa notte dei morti, ognuno è in grado di ricollegare un proprio ricordo o una propria esperienza a questi archetipi.

L’inferno è qui

Della stessa importanza di cui viene rivestito il folklore gode l’elemento storico. In ognuno dei tre racconti è presente un forte riferimento alle tragedie avvenute nei primi venticinque anni del millenovecento. Anche in questo caso, seppur il lettore quasi certamente non abbia vissuto in prima persona i suddetti eventi, l’immedesimazione che ne scaturisce è netta e forte. Che sia un dettaglio di contorno come nel primo racconto, dove la narrazione si sviluppa prima e dopo la Prima guerra mondiale, o che si tratti di un elemento centrale come in “Terra di nessuno”, il fatto storico, per non dire tragedia, arricchisce senza pari l’ambiente della narrazione.

L’inferno ultraterreno che tanti temevano prende all’improvviso vita nei villaggi che si spopolano a causa delle chiamate al fronte, nelle trincee dove si è costretti a sguazzare nel fango, negli escrementi e nei cadaveri, nelle scorribande e nei pestaggi che le squadre fasciste sistematicamente perpetrano. All’improvviso la povertà, la paura di aver commesso un peccato qualunque, la ricerca di un marito o una sposa, passano in secondo piano, anzi, sullo sfondo. Ma nonostante la portata ineguagliabile di tali atrocità, anche la tragedia storica finisce per mescolarsi con la superstizione e con la religione. Ed ecco che fioccano intrugli per proteggere i soldati venturi, amuleti da strofinare con vigore e regolarità in trincea, rettili vivi appesi al collo dei malati di malaria con la speranza che la febbre si abbassi, vecchi santi da pregare e nuovi da invocare. 

“Come in un bel sogno, in una fiaba per bambini, in una resurrezione, in un miracolo, si aprì davanti a lui una radura”

Baldini in questo libro mescola sapientemente nel suo pentolone elementi storici e folkloristici, tratti tipici del racconto horror a quelli tipici del giallo creando una commistione dal sapore nuovo e fresco. Basteranno poche righe per calarvi da testa a piedi in questi sperduti borghi, per camminare fianco a fianco al protagonista di turno e soprattutto per gustare l’amaro in bocca che vi verrà lasciato dall’assaggio di paure non comuni, non vive, ma quanto mai reali.