
Il bosco è il luogo degli incontri, ma anche del caos. Chi vi entra perde le coordinate tipiche della vita organizzata, e deve prepararsi a fare incontri inaspettati. Che si tratti della selva oscura di Dante o della foresta in cui si perdono e si incrociano i paladini del Boiardo e di Ariosto, è sicuro che nella storia della letteratura il bosco abbia rappresentato e rappresenti ancora un elemento di fascinazione ma anche di inquietudine. Non fa eccezione quello di Vivo nel buio di Wladimiro Borchi, edito Bibliotheka Edizioni, che non si limita a fare da sfondo alle vicende ma, nel suo disorientare, nel suo celare e nel suo incutere timore, diventa un comprimario a buon diritto.
Un gruppo di sei amiche decide di saltare la scuola e di recarsi in pellegrinaggio sul luogo dove, anni prima, si è consumato un fatto di cronaca nera: una ragazza è stata uccisa dal suo fidanzato, che si è poi tolto la vita. Il gruppo si mette in marcia attraverso il bosco ma man mano che il tempo passa la loro intraprendenza e spensieratezza cedono il passo all’inquietudine. Sembra esserci qualcosa con loro, qualcosa che vive nel bosco e che le sta seguendo. E una volta che il sole sarà tramontato, tra squilibrati, animali selvatici e oscure presenze, anche loro potrebbero incorrere in un amaro destino.
Sei amiche e una tomba
Vivo nel buio è accattivante fin dal titolo evocativo, che invoglia subito a sbirciare fra le pagine per capire chi è che vive nel buio. Dopo un breve sguardo all’episodio alla base della storia le vicende prendono subito piede. Il libro non conta moltissime pagine e per poter mantenere viva la curiosità l’autore sceglie di utilizzare pochi capitoli lunghi, con degli intermezzi strutturati, in modo da spingere i lettori a voltare sempre pagina.
Le protagoniste sono sei ragazzine di tredici anni che, in maniera alternata, cattureranno l’attenzione e saranno al centro della scena nel corso della storia. Borchi ha dato loro dei caratteri e delle caratteristiche diverse, per consentire una veloce familiarizzazione: Deborah è la classica capobanda, spaccona e più avanti delle altre, Luna, la secchiona della classe, è la sua ex migliore amica mentre Aisha è la nuova migliore amica. Cora e Cristina sono quelle un po’ più alternative del gruppo e, infine, Sabrina è quella più ostracizzata, anche per via dei suoi problemi di peso.
Ci sono poi altri personaggi di contorno, come i centauri Cagliostro e Flamel, la maestra Lisa e il bizzarro Massimo.
Tutti individui le cui strade finiranno per incrociarsi, sfiorarsi o scontrarsi in quel bosco maledetto di cui sopra, in un incastro ben studiato e con un crescendo di tensione per la quale l’autore dimostra di avere un buon talento.
Ma forse non sarà invece per quella curiosità morbosa che mi prende ultimamente? Per il fascino del macabro, della morte, dell’aldilà?
Che il libro di Borchi sia un horror ci sono ben pochi dubbi, la cosa viene presto chiarita. Meno chiaro è il suo target di riferimento: è un horror per bambini o si rivolge piuttosto a un pubblico adulto?
Nel complesso, Vivo nel buio si configura come un buon horror per ragazzi. È un’avventura che ha per protagoniste delle giovani adolescenti e che ha il sapore di storie come i Piccoli Brividi di Stine o il più recente HorrorCam di Silvia Benedetta Piccioli. Un sapore irresistibile, dove l’impresa giovanile si mischia all’inquietudine che si insinua sotto pelle quando l’orrore fa silenziosamente – ma non troppo – la sua entrata in scena.
È a suo modo una storia di infestazione, l’infestazione di un bosco, dove una presenza oscura a poco a poco comincia ad influenzare chi vi entra. Questa non possiede le persone, è piuttosto come una voce daimonica, che sussurra al loro orecchio o le induce a commettere atti di cui sono solo parzialmente consapevoli. Un espediente forse già visto, ma che è perfettamente funzionale a quella che è una storia molto breve ma raccontata in maniera intensa.
Al contempo, se le protagoniste sono tredicenni con problemi da tredicenni – i tell su Tellonym o le discussioni su chi sia il più bello tra i BTS – Borchi riesce anche a trattare temi forti e a farlo senza peli sulla lingua. Vivo nel buio non parla solo di paura, tratta anche temi come gli abusi, la droga, le difficoltà relazionali. A questo contribuisce l’uso flessibile del tono del linguaggio dell’autore che non ha paura di diventare esplicito o volgare quando deve far parlare personaggi rozzi, né si fa problemi a risultare confuso quando a parlare è un personaggio difficile da decifrare.
Tensione crescente, ma…
C’è un ma.
Come detto sopra Borchi è bravissimo a costruire la tensione, il libro prende una piega inquietante con il passare del tempo, che corrisponde chiaramente allo scorrere delle pagine e raggiunge il suo picco quando cala il buio. Le tenebre sono da sempre suggestive e in un bosco hanno un fascino macabro ancora superiore.
Mentre le ragazze si perdono in una selva che si fa sempre più metafisica, i loro animi si fanno più vulnerabili, diventano sempre più indifese nei confronti della paura che trova un modo per insinuarsi tra loro. Ed è lì che arriva la discordia e il terrore prende piede.
Procedendo con la lettura l’influsso malefico dell’entità si fa tanto forte che diventa molto difficile distinguere la realtà dalla fantasia. E allora l’acredine celata esce allo scoperto, la paura assume la forma dell’acrimonia, un’acrimonia che veste un pigiama a pallini e che mette le ragazze le une contro le altre. Purtroppo, però, il culmine della tensione coincide anche con il deludente degenerare della stessa.
Vivo nel buio sembrava poter prendere una svolta alla Il signore delle mosche ma rimane una storia a La bambina che amava Tom Gordon – in questo caso si potrebbe anche chiamare Le bambine che amavano i BTS. Questo non è di per sé un male ma si sente che le aspettative siano state deluse, si avverte che le cose sarebbero potute essere sviluppate meglio.
Nonostante non manchino le scene cruente e nonostante ci siano un paio di momenti che riescono a mettere davvero paura, a fine lettura si resta con una certa insoddisfazione, e con la volontà di qualcosa di più che purtroppo non c’è stata. C’è come il preludio a un’esplosione che però non avverrà mai.
Probabilmente non era nelle intenzioni dell’autore osare più di quanto abbia fatto, ma forse una marcia in più avrebbe dato ancora più colore alla storia. Storia che risulta nondimeno piacevole, una fiaba nera che non è altro che una porzione infinitesimale di un racconto del male che non è stato raccontato, perché per farlo si dovrebbe probabilmente risalire all’alba dell’umanità.
Quel che è certo è che non è prudente addentrarsi nei boschi, né rimanerci dopo il tramonto, e che Vivo nel buio rimane una lettura piacevole, perfetta per chi vorrebbe immergersi nel mondo dell’horror e non sa bene da cosa partire.